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minciarono il giorno 28 febbraio, e rinnovaronsi con più furore il giorno seguente; cosicché per calmare la rabbia che minacciava di venire agli ultimi eccessi, si adottarono alcuni provvedimenti. Ma i consigli dei buoni, e il bando dello stesso governatore di Genova, non valsero a rattemprare quel cieco furore che dominava. Tutto fu vano: si lanciano i facinorosi contro il convento di sant’Ambrogio, e le scuole ch’eran dietro il palazzo Turzi, e gittate a terra le porte, invadono le stanze e gli archivi. E quanto entro vi rinvennero, e vesti, e suppellettili, e carte, ed ogni cosa in somma ai Gesuiti appartenente, videsi volare tutto dalle finestre.1

A Genova tenne dietro Torino, da dove furono discacciati con modi meno aspri e disumani. Alla Spezia però, in Alessandria e a Sarzana, quando passaronvi, furono insultati e assaliti acerbamente. Lo stesso Gioberti da Parigi, informato di tanti eccessi, se ne formalizzava. Quegli diciamo, che vedeva ardere il combustibile stesso che fino allora aveva in tanta abbondanza somministrato.2

Quanto operossi in questo discacciamento desta veramente orrore, e meglio si affarebbe ai cannibali, che ai popoli chiamati civili. Partirono i Gesuiti fra gli urli e i fischi di una plebaglia sfrenata, la quale poco mancò che li facesse in brani.

Compiuto il racconto di ciò che accadde ai Gesuiti negli stati del re di Sardegna, passeremo a parlare del discacciamento che subirono in Napoli e nello stato pontificio, lasciando Roma per ultima, perchè qui fu messo il suggello alla loro persecuzione.

Volendo parlare pertanto di quel che soffersero i Gesuiti nel reame di Napoli e massimamente nella sua capi-

  1. Vedansi, a schiarimento dei fatti sovraccennati, il Corriere mercantile, la Concordia, la Lega italiana, il Risorgimento dei primi giorni del marzo 1848, non che il supplemento al Corriere livornese (giornale del Guerrazzi) del 7 marzo.
  2. Vedi Ranalli, vol. II, pag. 262.