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lingua latina, era riuscito di traforarsi nel convitto dei Canonici regolari lateranensi di san Pietro in Vinculis, e da quanto sapemmo in seguito, vi dava lezioni di latino all’aperto, di repubblicanismo copertamente.

Venuto essendo il suo tempo, se gli era montata la testa sì fattamente che non seppe resistere, e diesai a pubblicare il 18 marzo un indirizzo da esso sottoscritto Il repubblicano sacerdote Giuseppe Corà, e intitolato All’indolenza de’ sacerdoti, ove li rampognava perchè non mostravansi caldi repubblicani. Eccone alcune parole:

«E tanto più dovete rompere il vostro troppo lungo e forse anche vergognoso silenzio, perchè le vostre parole devono manifestare fondamentali e luminose verità, opportunissime a togliere le male intelligenze, che lasciano supporre che i sacerdoti o per ignoranza o per nequizia non siano col popolo, ma contro il popolo, e le sue libertà. No, no davvero, alzerò io la voce pel primo, benchè mi sento idoneo meno di ogni altro, no, no davvero che i veri sacerdoti non sono contro il popolo, nè contro le sue libertà e la sua indipendenza. I sacerdoti veri sono e devono necessariamente essere i più validi propugnatori de’ sacri diritti del popolo. E perchè no? Essi, nella massima parte, nati dal popolo, educati pel popolo, mantenuti dal popolo, viventi fra il popolo, non possono essere e non sono che a favore del popolo.1»

Siccome però nel giornale l’Epoca il nome Corà era stato scambiato in quello di Corsi, si dette a pubblicare subito il 22 un altro indirizzo per rettificar l’equivoco. In pari tempo ribadiva il chiodo con forza maggiore, e ne diceva delle belle proponendo di divenir tutti soldati per non ritornare vittime del croato. Crediamo prezzo dell’opera il riportarne l’ultimo brano il quale potrà dare un saggio del fanatismo clerico-repubblicano.


  1. Vedi Epoca del 18 marzo. — Documenti, vol. VIII, n. 95.