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Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. III).djvu/620

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da timor panico, fecer sì una scarica, ma poi tutti insieme fuggirono, e i difensori della cortina seguirono il mal esempio. La casa de’ Barberini servì di ricovero alle guardie romane del bastione 6, e colà sostenner l’assalto dei Francesi cui ferirono mortalmente due capitani, d’Astelet e de Jouslard; ma quantunque si difendessero valorosamente, furon sopraffatti, e ritiraronsi a san Cosimato.

Fu talmente sollecita e inaspettata la presa delle brecce, che al rimanente della divisione romana ch’era a difesa della seconda linea, sembrò uno dei soliti falsi allarmi, e il colonnello Rossi del reggimento Unione, di nulla avvedutosi, rondeggiava tranquillo, quando improvvisamente si vide fatto prigioniero da alcuni Francesi spintisi più degli altri innanzi. E n’ebbe bene a soffrire, perchè alcune voci maligne, alle quali fece eco lo stesso ministro della guerra, non mancaron di accusarlo di trascuranza, e perfino di connivenza col nemico, e volevasi ben anco sottoporlo ad un Consiglio di guerra.1

Superate appena le brecce, i Francesi non si ristettero un istante, e fecero colla lor nota speditezza tutto ciò che secondo le regole militari fa d’uopo per assicurarne il possesso. Gli ufficiali del genio segnarono sul terreno gli alloggiamenti, e posti i gabbioni lungo la traccia, i lavoratori stando al coperto poterono liberamente intendere ad aprir le trincee. Le mine preparate furon fatte scaricare.

Era il Garibaldi nel quartiere generale al palazzo Corsini, e colà ricevette l’annunzio dell’accaduto. Avebber voluto i suoi aiutanti spingerlo ad accorrere sulla breccia e rovesciarne il nemico. Si oppose: spedì in quella vece il colonnello Manara con una parte della legione lombarda al casino Savorelli, perchè facesse testa e difendesse ad ogni costo quella posizione ch’egli considerava come capo d’una terza linea di difesa. Mandò il colonnello Bacchi con un’altra parte di quella legione a villa Spada, e questi

  1. Vedi il Monitore del 24 giugno, pag. 621. — Vedi Torre, vol. II, pag. 233.