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leo, che non ha certamente più belle sembianze, è contorta e in uno stato violento come il suo corpo.

§. 14. Alle figure etrusche sì del primo che del secondo stile applicarsi in qualche maniera potrebbe ciò che di Vulcano disse Pindaro, cioè che nato era senza le Grazie1. E ove fra il secondo stile etrusco e quel de’ Greci de’ migliori tempi far si voglia il confronto, quello rassomigliarsi potrà ad un giovane che, privo d’una buona educazione, sciolga il freno alle passioni, e s’abbandoni ai trasporti dello spirito, i quali lo conducono ad azioni violente e sconce; laddove quello per l’opposto sarà simile a bel giovinetto, a cui una buona istituzione abbia appreso a temprare il fuoco delle passioni, e in cui le belle sembianze naturali siano state per la coltura dello spirito e del cuore rendute più belle ancora e più nobili. Questo secondo stile può eziandio chiamarsi manierato, in quanto che in tutte le figure ha costantemente lo stesso carattere e la stessa maniera: Apollo, Marte, Ercole, e Vulcano su i lavori di quello stile non distinguonsi punto pel disegno. E siccome l’avere un carattere unico e generale è lo stesso che non averne nessuno, cosi degli artefici etruschi ridir si potrebbe ciò che in Seusi ebbe a riprendere Aristotele2, cioè che non abbia dato nessun carattere alle sue figure.



§. 15. Que-


  1. Ap. Plut. in Erot. pag. 751. D. oper. Tom. iI.
  2. Poet. cap. 6. pag. 7. op. Tom. IV. [Sine actione non fieret tragœdia: at sine moribus fieret. Recentium enim plurimorum tragœdiæ sine moribus fune: & omnino poetæ, multi tales: sicut & ex pictoribus Zeuxis ad Polygnotum se habet. Nam Polygnotus bonus morum descriptor: at Zeuxidis pictura prorsus caret moribus. Pare piuttosto, che Aristotele con tanti paragoni voglia intendere di quell’artificio, e abilita a far ribaltare nella poesia, e nelle arti del disegno i costumi, e il carattere particolare di una persona, o vogliam dire, animare i soggetti, che si rappresentano: il che dai Greci si diceva ἠθικόν, come nota Arduino a Plinio lib. 35. cap. 9. sect. 36. num. 13.; e a cui alludeva Marziale lib. 10. epigr. 32.:

    Ars utinam mores, animumque effingere posset!
    Pulchrior in terris nulla tabella foret.

    S. Basilio, o piuttosto altro autore De hom. structura, Orat. 2. n. 12. in appendice delle opere di quel S. Dottore Tom. I. pag. 344. in fine, ha saputo trovare gli affetti dell’animo espressi in molti lavori dell’arte; e forse Aristotele non li sapeva trovare nelle opere di Zeusi. Sembra però che Plinio loc. cit. ne eccettui la di lui pittura rappresentante Penelope, in qua pinxisse mores videtur.