Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/453

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n e l l e   v a r i e   f i g u r e , e c. 343

[Espressione che danno alla loro figure i moderni.] §. 26. Il saper degli antichi non si può meglio conoscere che nel confrontar i loro colla maggior parte de’ moderni lavori, ne’ quali non molto con poco, ma bensì poco con molto vedesi espresso. Questo dai Greci detto sarebbesi παρενθύρσος1, voce atta ad esprimere il difetto che v’è per lo più nell’espressione de’ recenti artefici. Le figure loro sono per l’atteggiamento simili ai comici dell’antico teatro, i quali per esser ben visibili, eziandio al più minuto popolo che stava all’estremità, doveano oltrepassare i limiti della naturalezza e del vero; e i volti delle figure moderne sono simili alle antiche maschere, che per la medesima ragione, affin d’essere molto espressive, erano sformate.

§. 27. Quella espressione eccessiva vien insegnata in un libro che va per le mani di tutt’i giovani artisti, cioè nel Trattato delle passioni di Carlo Le-Brun; e negli aggiuntivi disegni non solo vedesi espresso sul volto il più alto grado delle passioni, ma in alcuni vanno queste sino al furore. Crede l’autore che imparar si debba l’espressione, come Diogene imparava a vivere virtuosamente, cioè dando nell’eccesso opposto alla mollezza: „ Io fo come i musici, diceva egli, i quali per venire nel tono giusto, cominciano


„ ad


    nuto, che in essa si rappresenti Ecuba madre di Ettore, ed a mio avviso, quando questa regina vidde precipitare Astianatte dalle mura di Troja. Ma, questa statua, che ho riconosciuto esser Ecuba, non può allegarsi per esempio in contrario di qusl che dico; anzi stabilisce maggiormente la mia opinione, e l’artefice sembra di aver voluto esprimere l’umore inquieto di questa regina, che non potè raffrenare la lingua, e proruppe incontinue invettive contro a’ capi de’ Greci, onde è nata la favola della trasformazione di lei in cane. Lycophr. v. 334., Hygin. Fab. 111'.

  1. Longin. De Sublim. sect. 3, pag. 24. Tal vocabolo, che non hanno ben inteso i commentatori, dovrebbe spiegarsi o παρὰ πρέπον, ovvero παρὰ σχῆμα θυρσῲ χρῆσθαι, cioè per l’inopportuno uso del tirso, e principalmente, riguardo alla scena, ove soltanto gli attori tragici soleano portare il tirso. Peranco tal voce indica colui, che nelle cose socco dignis cothurno incedit, cioè troppo ampollosamente esprime le cose. [ Il passo di Longino è chiaramente espresso in questo senso; e benissimo è spiegato anche nella traduzione dell’edizione usata da Winkelmann, che io riporterò per intiero: Huic vicinum est tertium vitii genus, quod in inepta affectuum concitatione versatur, & a Theoodoro Parenthyrsi nomen accepit: quum scilicet vel tragœdiæ aguntur it nugis, ac in rebus parvis illæ dicendi faces adhibentur, quibus auditor incendi solet, atque inflammari, vel quum, ubi mediocritas opus est, modus omnis exceditur. Quod plerumque fieri amat quum veluti dulci declamatione levitatis musto ebrius, non tam propriis, ac negotio convenientibus, quam ineptis suis ipsius affectibus incitatus orator abripitur. Unde accidit, ut pro consternatione, ac stupore, cachinnos irridentium commoveat: quippe qui furore apud sanos, & quasi inter sobrios bacchari violentus videatur.