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d a i s u o i p r i n c i p j ec. | 211 |
Notisi qui che tal passo di Plinio non è stato ben inteso dall’Arduino, secondo cui lo storico volle dire che Mirone moltiplicò l’arte sua, o piuttosto che ha fatto gran numero di statue. La parola numerosior, a mio avviso, qui significa che questo artista ha portata molt’armonia nell’arte, poiché in quello senso prendesi la voce numerus presso i Latini, anzi anche presso gl’Italiani, dicendosi a cagion d’ esempio la maestà del numero omerico. In questo medesimo senso vien presa la voce numerosior presso Plinio1, ove parla di Antidoto2.
D d 2 | §. 32. Fra |
- ↑ Plin. lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 28.
- ↑ Delle tante altre opere celebri di Mirone, noi ci contenteremo di nominare cui in primo luogo le tre statue colossali erette in Samo, rappresentanti Minerva, Ercole, e Giove. Antonio le trasportò a Roma, e Augusto rimandò colà le due prime, Strabone lib. 14. pag. 944. C. In secondo luogo faremo parola del celebre di lui Discobolo, ossia della statua di un giuocatore di disco. Il nostro Autore lo avea nominato nella prima edizione, e noi abbiamo già accennato nel Tom. I. pag. 189. n. a., che una copia in marmo ne è stata trovata ultimamente negli scavi della villa Palombara sull’Esquilino. Più opportunamente occorre qui di parlarne, sì per provare, che il Discobolo di Mirone stava realmente nella mossa, e atteggiamento della statua in marmo, come anche per far costare ad evidenza, che questa non è che una copia di quello. Premettasi però, che la detta statua è tutta antica col disco, e non ha restauro, se non che in un pezzo della gamba destra da sotto il ginocchio sino alla giuntura del piede.
Per la prima parte dunque noi abbiamo Luciano, il quale ce lo descrive in maniera così precisa da non potersene più dubitare. Egli dice, che aveva la faccia piegata, e rivolta verso la mano, che portava il disco; che aveva la punta del piede sinistro alquanto ripiegata, e voltata indietro; e che stava chinato, e incurvato col corpo nell’atto precisamente di rizzarsi per gettare il disco. Si veda la figura, che ne diamo in fine di questo Tomo Tav. iI. quanto bene confronti. Bisognerà per altro confessare, che mediante l’ispezione della figura si capisce a dovere il sentimento di Luciano, che per mancanza di essa non era stato capito sinora dagl’interpreti, e dagli annotatori; e può darsene la giusta versione. Ecco le di lui parole nel dialogo intitolato Philopseudes, §. 18. op. Tom. iiI. pag. 45.: Μῶν τὸν δισκεύοντα, ἦν δ᾽ ἐγώ, φής, τὸν ἐπικεκυφότα κατὰ τὸ σχῆμα τῆς ἀφέσεως, ἀπεστραμμένον εἰς τὴν δισκοφόρον, ἠρέμα ὀκλάζοντα τῷ ἑτέρῳ, ἐοι-
l’irruzione dei Persi in Grecia si diedero a mantenere, e ad addestrar cavalli; nel che poi superarono gli altri Greci. Dopo quel tempo, cioè dopo l’olimpiade lxxv. come si è detto alla pag. 178. n. b., e forse qualche olimpiade appresso, giacchè Pausania non indica quale fosse, cominciarono diversi atleti ad addestrare i cavalli per la corsa nei giuochi pubblici. Fra questi vi fu Licino, il quale volle per la prima volta servirsi di pulledri; ma non avendone avuto buon esito, pensò di addestrate cavalli più adulti, coi quali in appresso ottenne la vittoria nei giuochi olimpici, e vi dedicò due statue, opera di Mirone. Si dia un ragguaglio di tempo a tutte queste cose, e si vedrà, che Mirone visse veramente intorno all’olimpiade lxxxvii., ove lo riporta Plinio, il di cui racconto è anche tanto circostanziato, che non può facilmente supporvisi errore. Un altro argomento lo portiamo trarre da Cicerone De clar. orat. cap. 18., e da Quintiliano lib. 12. cap. 10. addotto sopra alla pag. 184. n. b., ove facendo la serie cronologica degli stili di varj artisti celebri, mettono Mirone dopo Calamide, il quale ha fiorito nella stessa epoca, come dirò qui appresso al §. 33. p. 214. Crederei poi che non andasse collocato dopo quell’epoca, perocchè Alcamene, di lui contemporaneo, come ha esposto Winkelmann qui avanti pag. 191. fu il primo a fare Ecate triforme; e Mirone avea fatta d’una sola figura quella citata dallo stesso Winkelmann, secondo Pausania lib. 2. cap. 30. pag. 180.