Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/195

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signi facoltà, e nel grado di arte liberale. Quindi riconvenuto il servo d’Ulisse, che avesse messo alla tavola de’ Proci persona sconosciuta, rispose non avervi chiamato mai se non coloro, che erano da tutti invitati, cioè i poeti, i cantori, i medici, i falegnami1. Questi poi, se alle opere loro, che il poeta ci descrive, vorrà farsi considerazione, non erano neppure d’un gran merito. Certamente che esaltandoci la maestria d’Ulisse, che fece una nave al pari di qualunque perito artefice, ci descrive un’opera meschina, fatta in quattro giorni2, e le cui sponde erano composte di vimini, e salci. Vuol anche inoltrarci assai dotto quell’artefice, che seppe lavorare la sedia a Penelope. E che sedia! basta dire, che aveva saputo inventarvi, ed unirvi una tavola, o predella3, per la quale la signora era esente dal posare i suoi piedi in terra. Da tutto ciò, e dal contesto di molti altri luoghi di que’ celebri poemi se ne deduce, che le greche fabbriche di que’ tempi erano per lo più di legname; onde Platone descrivendone una esistente allo stretto Erculeo scrive, ch’era d’una specie non greca, ma barbara, cioè di pietre4; e ragionando Erodoto de’ popoli Geloni dice5, che avevano i loro tempj alla greca, cioè di legno; e tale era al riferir di Pausania6 quello di Trosonio e di Agamede, e tale sulla testimonianza di Polibio7 la celebre reggia della città di Ecbatana nella Media; che però io a questo attribuisco i frequenti incendj, che si leggono accaduti negli antichi tempj della Grecia; cosa che non sentiamo avvenuta in Asia, in Egitto, ed in quelli degli Etruschi. Sembra però che lo stesso le Roy sia persuaso, che le costruzioni più antiche della Grecia non

Tom. III. Z fos-


  1. Odyss. lib. 17. vers. 384.
  2. ibid. lib. 5. vers. 240. & seq.
  3. ibid. lib. 19. vers. 56.
  4. Critias, oper. Tom. iiI. pag. 116.
  5. lib. 4. cap. 103. pag. 329.
  6. lib. i. cap. 10 pag. 618.
  7. Hist. lib. 10. pag. 598.