Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/326

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308 D i s s e r t a z i o n e

594., al capo decimoquinto, ci dice in compendio le cagioni delle rovine di Roma, non tanto dalle Barbare nazioni, quanto da tempeste, turbini, terremoti, e dal lungo corso degli anni, che sopra ogn’altra cosa influiva sui materiale delle fabbriche. Cosi scriveva, parlando della profezia di s. Benedetto riguardo al re Totila, che accennammo: Præterea antistes Canusinæ Ecclesiæ ad Benedictum Domini famulum venire consueverat, quem vir Dei pro vitæ suæ merito valde diligebat. Is itaque dum cum ilio de ingressu Regis Totilæ, & Romanæ Urbis perditione colloquium haberet, dixit: Per hunc Regem civitas ista destruetur, ut jam amplius non inhabitetur. Cui vir Dei respondit: Roma a gentibus non exterminabitur, sed tempestatibus, coruscis, turbinibus, ac terræ motu fatigata marcescet in semetipsa. Cujus prophetia mysteria nobis jam facta sunt luce clariora, qui in hac urbe dissoluta moenia, eversas domos, destructas Ecclesias turbine cernimus; ejusque ædificia longo senio lassata, quia ruinis crebrescentibus prosternantur videmus.

Dopo questo tempo, vale a dire dal secolo settimo, è inutile di ricercare se le fabbriche si conservassero, o vi fosse chi le restaurasse. Al più si faranno lasciate in piedi quelle, che per la loro più forte costruzione ancor si reggevano. Quell’impegno, che innanzi avea dimostrato il popolo per gli ornamenti della patria, e per le belle arti, doveva essere stato divertito ad altri bisogni più urgenti dalle tante passate calamità, e dalle nuove, che andavano crescendo. Verosimilmente per le fabbriche rovinate nel fiume, e la negligenza nell’averne cura, le strabocchevoli inondazioni si rendevano più frequenti. L’Alveri1, che ha fatta la storia di esse dal principio di Roma sino al secolo scorso, in cui viveva, senza dire da chi le abbia tratte, ne numera due seguite ne’ secoli, de’ quali parliamo,


cioè


  1. Roma in ogni stato, par. 1. pag. 571.