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Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/469

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ha, che gran parte dei cittadini era iniziata in que’ riti, per li quali vi era un grande trasporto, e fanatismo. Può dunque tenersi per fermo, che la cifra sia anteriore a quell’anno sì per quella proscrizione, e sì per la forma delle lettere, e l’ortografia delle parole, come fu rilevato al detto num. 11. E che difficoltà potremmo avere a credere, che Navio Plauzio abbia lavorata in Roma la cista sullo stile migliorato da greci artisti? Per poco che s’intenda l’arte, e si abbia pratica dell’antichità, si capisce, che la composizione di tutto il grafito, l’aggruppamento delle figure, l’esattezza dei contorni, e anche gli abiti, la Minerva, e l’Apollo, i quali assistono al supplizio di Amico, sono certamente di maniera greca, che poco mostrano di comune coll’etrusco, e danno un’idea delle arti già da quel tempo molto perfezionate in quella città. Si veda appresso al numero XIV. del Tomo iiI.

II. Statua in marmo greco detto a giaccione dell’altezza di nove palmi, e tre quarti, posseduta in Roma dal signor marchese Massimi nel suo palazzo alle Colonne. Ha il pregio singolare di essere intiera, fuorchè in un pezzo della gamba dritta restaurato. Se ne è parlato a lungo nel Tom. iI. p. 211. e segg. per provare, che è una copia del famoso Discobolo, o giuocatore del disco fatto in bronzo da Mirone; e che se ne hanno altre copie in marmo, sebbene mutilate. Il giudizio, che dell’opera di quel celebre statuario dà Quintiliano, e molto più ciò, che ne dice Luciano, il quale prima di darsi alla filosofia esercitò la scultura fino all’età d’anni trenta, e vedeva i giuochi della Grecia, bastano a farne l’elogio, e a difenderla dal preteso difetto del piede ritorto contro natura. Gli antichi artisti voleano principalmente distinguersi nell’effigiare gli eroi, o gli altri uomini di qualche merito, in quel punto, che era il più interessante delle loro azioni, ma nel tempo stesso il più difficile ad imitarsi. Ctesilao fece la statua in bronzo di quel moribondo, in cui potea comprendersi quanto di vita ancora gli rimanese, come scrive Plinio1. Tale può dirli anche il così detto Gladiatore moribondo del Campidoglio, che Winkelmann pensa essere un araldo, e fra


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  1. Vedi Tom. iI. pag. 203.