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S p i e g a z i o n e |
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IV. Statua in marmo bianco di Laocoonte co’ suoi figli tormentati a morte da due serpi, mandati, secondo la favola, da Minerva per punire il padre dell’attentato contro il cavallo di Troja, e delle sue rimostranze perchè non fosse introdotto nella città1. Winkelmann ne ha parlato più volte, nel Tom. I. pag. 309. 337. Tom. iI. pag. 14. 117. 240. segg. Lungo trattato ne hanno scritto i signori Lessing, e Heyne; ma meglio di tutti ne esamina parte a parte le bellezze, e le particolarità il ch. espositore del Museo Pio-Clementino2. con una energica descrizione. Noi ci tratterremo soltanto a dire qualche cosa per supplire a ciò, che osservammo alla pag. 241. e 244. del Tom. iI. La figura in rame, che qui se ne dà, l’abbiamo fatta disegnare da un piano elevato quasi a livello della statua, perchè ci pareva, che questo fosse a un di presso il vero punto di vista del gruppo, non quello, che ha nel luogo, ove si trova nel cortile di Belvedere, posto sopra un piedistallo piuttosto alto, di maniera che si guarda dal sotto in su. Da questo punto prescelto si gode l’inarrivabile espressione della testa di Laocoonte, che si vede coronata di lauro a guardarla di fianco, e la testa dei figlio piccolo a destra del padre; tutto si scorre coll’occhio il bello della composizione; e come bene osserva anche il lodato espositore, la gamba del figlio più grande, che a misurarla è alquanto più lunga, veduta da questo punto si accorcia, e comparisce proporzionata per ragione di ottica3. A prima vista non sembra potersi rimediare ai tanti giri dei serpi, che per il loro intreccio furon detti da Plinio maravigliosi: dracorum mirabiles nexus4. Essi sono tanti, che fanno comparire la lunghezza di tutto il serpe un terzo maggiore del vero, come può comprendere chi ha qualche notizia di storia naturale, o ha veduto alcune specie di serpi, o vuol fissare almeno lo sguardo sopra il serpe, che si rampica al tronco della statua del vicino Apollo, di cui diamo la figura al num. IX., e ad altri, che veggonsi negli antichi monumenti: difetto, che gli scultori Agesandro, Polidoro, e Atenodoro avrebbero dovuto sa-
- ↑ Virgilio Æneid. lib. 2. vers. 201. segg.
- ↑ Tom. iI. Tav. 39.
- ↑ Vedi Tom. I. pag. 85.
- ↑ lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 11.