Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/626

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geometria, e calcoli; precisione, e proprietà di espressioni; corredo più vasto di cognizioni letterarie, e architettoniche: in poche parole, che vi foste ben fitto in mente il detto di Winkelmann, che ci sapeste ripetere: altro è lo studio dell’arte, altro è lo studio della critica. Con una lettura superficiale, passaggiera, e da toletta, dirò così per non supporre in voi mancanza di cognizioni, avete voluto alzar tribunale sopra un’opera assai più rispettabile di quello, che voi vi eravate proposto di farla comparire. Per imitare forse quell’altro scrittore di buon gusto deriso da Ateneo, e da lui chiamato raccoglitore di spine, perchè nelle opere altrui nulla sapea trovare di rimarchevole se non le le cose più intralciate, cattive, e nojose; pare che non vi siate proposto, che di trovare difetti nell’opera di Winkelmann principalmente, e nella mia per qualche parte; passando sotto silenzio, o mettendo in un aspetto ridicolo, o di poca importanza tutto ciò, che meritava lode, e particolare attenzione. Avete confidato troppo nel vostro buon gusto, nella vastità delle vostre cognizioni, nel vostro primo colpo d’occhio; senza poi farvi carico d’intendere a pieno la mente degli autori, e le loro parole. Altronde persuaso, che io sia passato all’improviso dai serj, e meno piacevoli studj legali, ai più ameni, e brillanti di quella parte di antiquaria, che riguarda le belle arti, vi siete lusingato di potermi così a buon mercato far ammutolire, spiegando carattere di professore, e di giudice confermato nel possesso di dar la tara anche alle opere dei Reverendissimi. Non pretendo, che voi vi figuraste tutti gli studj da me fatti nella critica, nell’erudizione universale, e nell’antiquaria da’ miei più teneri anni, ed in ispecie in quel tempo, che mi credevate immerso nei serj, e meno piacevoli studj legali; non dico, che da questa vostra asserzione possa ricavarsi per legittima conseguenza, o che l’edizione, che ho fatta, non è mia opera; o che non potevo averla fatta all’improviso passando digiuno da uno studio all’altro; o che passandovi veramente, dovevo avere presso di voi il credito di aver saputo fare all’improviso un’opera, per cui dieci professori de’ pari vostri non farebbero stati sufficienti, non che due società di letterati, o accademici: dirò bensì con qualche confidenza, che potevate immaginarvi, che io dagli studj legali, per li quali voi confessate, che io era già noto al pubblico, avessi portato con me allo studio delle belle arti almeno qualche poco di pratica, e di capacità nel difendere le altrui ragioni, e molto più le proprie, se data se ne fosse l’occasione.

E per non tenervi più sospeso in tanti preamboli, comincierò dal bel principio a farvi riflettere con quanto poco fondamento abbiate posta in fronte a queste vostre osservazioni l’epigrafe tratta dal gran maestro Vitruvio1: qui ratiocinationibus, & literis solis confisi fuerunt, umbram, non rem persequuti videntur. Come mai, sig. Cavaliere eruditissimo, è potuto cadervi in mente di applicare a Winkelmann, e a me questa riflessione aforismatica, che al più potea convenire a voi, il quale vi dichiarate professore; non già a noi, che sentenziate per semplici letterati? Non l’avete forse capita, o credevate che non l’intendessi io perchè è linguaggio del maestro

  1. Lib. 1. cap. I.