Pagina:Storia di Milano I.djvu/397

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immaginato il modo di aggiugnere all’angustia, alla privazione della libertà, al timore dell’avvenire, al maligno alimento del cibo e dell’aria, anche il tormento di far succedere una positura dolorosa ad un’altra dolorosa. Galeazzo I questa unica memoria ci lasciò come sovrano; poichè la signoria di lui fu breve, e la cagione la troviamo nella domestica discordia. Marco, che col suo valore aveva conservato e difeso lo Stato, non poteva soffrire il fasto di Galeazzo I, a cui il padre aveva lasciata la signoria. La distanza che passa fra un sovrano ed un suddito, rendeva insopportabile a Marco la sua condizione. I principi cadetti delle case sovrane, sono educati sin dalle fasce a venerare nel primogenito il venturo signore: ma a ciò non era disposto dall’educazione l’animo di Marco. La dominazione di Matteo Visconti, loro padre, fu tanto eventuale, precaria ed incerta, che nessun uomo, per illuminato ch’ei fosse, avrebbe potuto con ragione antivedere s’egli avrebbe finito come privato, siccome nacque, ovvero qual principe, siccome avvenne. Perciò la disparità fra i fratelli sopragiunse come un avvenimento impensato, il quale doveva eccitare la vampa delle passioni nei cadetti. Giovanni era di carattere mite, e la condizione sua d’ecclesiastico moderava l’invidia. Luchino aveva egli pure la prudenza di accomodarsi ai tempi. Stefano aveva moglie e figli. Marco era quello che più si mostrava intollerante. Egli s’era fatto conoscere e stimare dagli stipendiari tedeschi, spediti da Lodovico il Bavaro; onde non gli fu cosa difficile l’indurre quell’eletto imperatore a venire nell’Italia, per celebrare le incoronazioni a Milano ed a Roma. Si pretende ch’egli trovasse il modo d’irritare l’animo di quell’augusto contro