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la possibilità che servano a beneficio di private persone; sebbene non sieno materiali servibili per tesserne una storia.

Erano già trascorsi quindici anni dacchè l’augusto Berengario regnava senza contrasto sull’Italia; e l’arcivescovo di Milano giaceva come ogni altro suddito, senza avere altro di più che la venerazione inerente al carattere del metropolitano. L’imperatore stipendiava gli Ungari, di cui si era servito felicemente nelle vicende passate; e questi, valorosi alla guerra ed egualmente esperti predatori, avevano talmente imparata la strada d’Italia, che quasi ogni anno facevano una comparsa, e ne partivano con buona preda. Costoro lo stesso eseguivano nella Baviera, nella Suabia e nella Franconia. La Germania e l’Italia erano esposte al saccheggio; e allora quasi ogni borgo dovette cingersi di mura per vivere con sicurezza. Questo aveva reso odiosissimo il nome degli Ungari e fatto molti malcontenti dell’imperatore Berengario, che aveva per essi molti riguardi. Lamberto, arcivescovo di Milano, secretamente fomentava gl’inquieti, ed era avverso all’imperatore, anche per la tassa che aveva dovuto pagare a quell’augusto per essere da lui collocato sulla sede arcivescovile, a cui era stato canonicamente innalzato dai voti del clero1. Questa tassa fu proporzionata a quanto bisognava per pagare la famiglia bassa di corte, camerieri, uscieri, uccellatori e simil gente2. Si era secretamente introdotto un trattato con Rodolfo, re dell’alta Borgogna, invitandolo a venire nell’Italia, coll’offerta della corona. Berengario scoprì la congiura; fece arrestare Olderico, conte del

  1. Liutprand. lib. II, cap. 15.
  2. Il conte Giulini, tomo II, pag. 153.