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200 notte decimaterza

me, perchè voglio piú tosto rimaner senza figliuoli, che viver teco con infamia.

Piú tosto che non s’è detto, il figliuolo, tolti e danari, volentieri, ubidendo al padre, si partí; ed essendosi molto allontanato da lui, pervenne all’ingresso d’una selva, dove scorreva un gran fiume. Ivi edificò egli un bel palazzo di marmo con maraviglioso artificio, con le porte di bronzo, facendogli andare il fiume a torno a torno: e fece alcune lagune con gli registri delle acque, quelle accrescendo e minuendo secondo che gli aggradiva. Onde ne fece alcune dove entravano l’acque tanto alte quanta è l’altezza d’un uomo: altre che avevan l’acque fino a gli occhi, altre fino alla gola, altre fino alle mammelle, altre fino all’ombelico, che fino alle coscie, che fino alle ginocchia. Ed a cadauna di queste lagune vi aveva fatto porre una catena di ferro. E sopra la porta di questo luogo vi fece fare il titolo che diceva: «Luogo da sanare i pazzi». Ed essendo divulgata la fama di questo palazzo, per tutto si sapeva la condizione di quello. E per tanto convenivano i pazzi da ogni parte in gran numero per sanarsi; anzi, per parlar piú drittamente, vi piovevano. Il maestro, secondo la pazzia loro, li poneva in quelle lagune; e alcuni di quelli curava con busse, altri con vigilie e astinenzie: e altri per la sottigliezza e temperanza dell’aere a poco a poco riduceva al pristino loro intelletto. Innanzi alla porta e nella spaziosissima corte vi erano alcuni pazzi e uomini da niente, i quali per la gran calidità del sole percossi, erano grandemente afflitti.

Avenne che di li passò un cacciatore che portava il sparaviere in pugno, circondato da gran moltitudine de cani. Il quale subito che vide questi pazzi, maravigliandosi che cosí cavalcasse con uccelli e cani, gli addimandò uno di loro che uccello fosse quello ch’egli portava in pugno, e se forse era una trappola, over calapio da uccelli, e a che effetto lo nodriva egli. Risposegli subito il cacciatore: — Questo è un uccello molto rapace, e chiamasi sparaviere; e questi sono cani che vanno cercando le quaglie, uccelli grassi e di buon sapore. Quest’uccello le prende, e io le mangio. — Allora il pazzo