Pagina:Strocchi - Elogi e discorsi accademici.djvu/106

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amene discipline, non si avrà penuria di chi abusando il tempo e le lettere rassegni alla infamia del ridicolo il più bello de’ nomi, la più nobile delle arti, unica sola degnata all’onore dell’arbore trionfale. Biasmo comune ad ogni ragione di studi, de’ quali è solo imputare l’abuso. Approvo, che di colesti si dica ire alle altrui porte accattando. Or chi dirà, che del proprio non vivesse Virgilio quando dentro a sue carte toglieva scene di tragedie greche, fantasie e versi di Omero, di Esiodo, di Teocrito, o quelli di Ennio, di Lucrezio, di altri latini, e la favola alessandrina del pastore Aristeo in oro purissimo convertiva? Dante, che di parsimonia e di lima vince Ovidio, da cui toglie la descrizione della Fenice? Angelo Poliziano, che a quelle stanze più che d’altro ricche di testura elegantissima innesta concetti di Erodoto, poesie di Omero, di Virgilio, di Stazio, di Claudiano? Torquato Tasso, che per l’artificio ed accozzamento di luoghi tratti in gran copia dagli autori antichi rende novo, e meraviglioso? Ariosto, che tante e bellissime fra le belle espresse da Catullo, da Orazio, da Virgilio, da Stazio le ottave:

     La verginella è simile alla rosa . . . .
     Qual timidetta damma, o capriola . . . .
     Sta su la porta il re d’Alghier . . . .
     Come purpureo fior languendo muore . . . .
     Qual’orsa, che l’alpestre cacciatore . . . .

e largamente da Ovidio le querele di femine abbandonate da perfidi amatori, e le ipotipósi di tempeste marine fatte più mirabili per giudiciosa sobrietà? Esempi sono questi, pe’ quali non lice sen-