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SULLE FRONTIERE DEL FAR WEST 239

ne facevano un vero spreco, pur ottenendo ben meschini risultati col mezzo migliaio di carabine che avevano a loro disposizione.

Già la pineta era stata attraversata in tutta la sua lunghezza; già le ultime terrazze del Lago erano state superate, ed ora i cavalieri galoppavano attraverso la sconfinata prateria, dirigendosi all’oriente.

John guidava sempre il drappello, tirandosi dietro gli altri, trascinandoli in una corsa che pareva non dovesse finire più.

Sapendo che solamente verso l’est poteva incontrare aiuto da parte del colonnello Chivington o da qualche altro, manteneva quella direzione, pur avendo il timore di cozzare contro a qualche banda di Chayennes che dovevano scorrazzare le pianure bagnate dagli affluenti dell’Arkansas.

Disgraziatamente gli Sioux e gli Arrapahoes, forse più abili cavalieri, non perdevano affatto terreno, nè accennavano ad interrompere la caccia.

Sicuri di sterminare con facilità quel piccolo gruppo, e aizzati certamente da Yalla, la quale non voleva perdere i due figli del colonnello, ora che era riuscita a scovarli, tenevano duro spingendo senza posa i loro piccoli e svelti mustani, i quali sembravano veramente dotati d’una resistenza eccezionale.

Molti erano rimasti indietro, ma i più si mantenevano sempre in gruppo, continuando a sparare all’impazzata e ad urlare a squarciagola.

I negri, che formavano la retroguardia, cadevano ad uno ad uno, ed anche i meticci che si stringevano addosso al giovane Devandel ed a Mary, stramazzavano fra le erbe per non più risollevarsi, e le loro capigliature passavano nelle mani dei pelli-rosse.

Il drappello si assottigliava a poco a poco.

Invano John aveva fatto fare qualche scarica colla speranza di fermare lo slancio degli assalitori. Molti indiani e numerosi cavalli erano caduti, ma ci voleva ben altro per mettere fuori di combattimento quel piccolo esercito!...

Quella caccia disperata, spaventevole, durava già da due ore, con uno slancio frenetico da una parte e dall’altra e colla peggio dei fuggiaschi, i quali vedevano assottigliarsi sempre più il drappello.

Quasi tutti i negri erano ormai caduti ed erano stati scotennati. Non rimanevano in sella che John, i due scorridori della prateria, i due figli del colonnello ed altri sei o sette uomini, e le palle continuavano a grandinare, pur giungendo quasi morte, poichè i cavalli indiani, sfiniti da quella lunga corsa e dalle cariche precedenti intorno all’hacienda, cominciavano a cedere all’immane sforzo.

L’indian-agent cominciava a sperare, quando un altissimo grido gli sfuggì:

— Siamo perduti!...