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SULLE FRONTIERE DEL FAR WEST 21

alla piccola indiana che pareva si fosse assopita, poi sturò una bottiglia di gin ed empì due grossi bicchieri, dicendo:

— Questo vi darà un po’ di animo, mio colonnello, e manderà a casa del diavolo le vostre idee nere. —

Si erano seduti sulle selle di due cavalli, l’uno di fronte all’altro, colla bottiglia nel mezzo.

Il colonnello prese un bicchiere e lo vuotò avidamente, come se avesse cercato ad un tratto di stordirsi.

— La storia che sto per narrarti risale a vent’anni fa, — disse, dopo un altro breve silenzio. — Al pari di tanti altri avventurieri, avevo cominciata la mia carriera come scorridore della prateria.

L’indiano allora rispettava il bianco, del quale aveva bisogno per provvedersi d’armi, di liquori e di vesti, e non si correvano grandi pericoli avanzandosi anche nelle immense solitudini del Far-West. È vero che, di quando in quando, dei disgraziati non tornavano più indietro e lasciavano le loro capigliature sanguinanti fra le mani delle più crudeli pelli-rosse.

Ero diventato già un famoso tiratore ed avevo contratto molte relazioni nelle varie tribù, quando un giorno eccomi cadere nel bel mezzo d’una grossa riserva di Sioux.

— I più terribili demoni della prateria, — disse l’indian-agent, caricando ed accendendo una pipa monumentale. — Nemmeno vent’anni fa quei vermi facevano grazia all’uomo bianco.

— È vero, John, e quando fui preso mi tenni subito per perduto e mi vidi già legato allo spaventevole palo della tortura.

— Allora non sareste qui a raccontarmi questa interessante storia, — disse John, ridendo. — I vostri capelli sono veri?

— Sì.

— Allora tutto è andato bene; avanti, colonnello.

— Conosci la leggenda del grande cavallo bianco?

— Io so che tutti i cacciatori di cavalli del Far-West e le tribù indiane pretendono di aver veduto, imbrancato fra altri mustani selvaggi, un meraviglioso quadrupede tutto bianco, colle quattro unghie ed anche la criniera dello stesso colore e di forme perfette.

Durante i bivacchi, intorno ai fuochi, bo udito molte volte dei navajoes, degli arrapahoes e dei chayennes parlare, in modo misterioso, di quello strano animale che si diceva si mostrasse ora su un territorio ed ora su un altro, e che sfidava tutti i più abili cacciatori.

— Ci hai creduto tu?

— Uh!... Se ne narrano delle storielle nella prateria, quando non si ha voglia di dormire o il pericolo costringe a vegliare!...

— Eppure, come hai veduto, il famoso cavallo bianco è esistito. —

John Maxim scosse la testa un po’ dubbioso, poi disse:

— Continuate, colonnello. Già ormai la notte è perduta.