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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/145

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138 DEGLI ANNALI

corpo. La notte la moglie uscì di camera; ei fece chiuder l’uscio: e al far del giorno si trovò sgozzato e il coltello in terra.

XVI. Ricordomi aver udito da’ vecchi, che a Pisone fu veduta più volte in mano una lettera, la quale egli non mostrò; ma dissero gli amici che era la commession di Tiberio del fatto contro a Germanico: e volevala squadernare dinanzi a’ Padri; ma Seiano con vane promesse l’aggirò; e che egli non morì per mano sua, ma gli fu mandato l’ammazzatore. Nè l’uno, nè l’altro affermerei; ma da celar non era il detto di coloro che vissero insino a mia giovanezza. Cesare maninconoso domandava al senato: se tal morte s’attribuiva a lui; e all’apportator dello scritto di Pisone, quel ch’ei fece il dì e la notte ultima. Il quale avendogli risposto, parte a proposito e parte no, lesse lo scritto, che diceva: „Poiché la setta de’ nemici e l’odio del falso opposto m’opprimono, e la verità e l’innocenza mia non s’accettano, gl’Iddìi immortali mi siano testimoni, che io sempre fui a te, Cesare fedele, e a tua madre pietoso. Raccomandoti i miei figliuoli. Gneo, stato sempre in Roma, non ha parte nelle mie fortune. Marco non voleva ch’io tornassi in Soria; fatto avess’io a senno del giovane figliuolo, e non egli del vecchio padre! tanto più caramente ti prego che l’innocente non porti pena delle mie colpe. Per la servitù mia di quarantacinque anni, per la compagnia del consolato, onde fui accetto ad Augusto tuo padre, amico a te, fammi questa grazia ultima, che io ti debbo chiedere, perdona al mio figliuolo infelice.„ Plancina non mentovò.