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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/177

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170 DEGLI ANNALI

cose e sozze scagliare. Trovo scritto che Tiberio nell’uscire di senato, usava dire in greco: O gente nata a servire! stomacando sì abietta servitù colui che non voleva la pubblica libertà.

LXVI. Passavano poi dallo ‘ndegno al maligno. Onde essendo C. Silano viceconsolo in Asia, chiamato da que’ collegati a sindacato, Mamerco Scauro consolare, Giunio Otone pretore, Brutidio Nero edile, di bella compagnia, Io querelarono d’offesa deità d’Augusto, e spregiata maestà di Tiberio. Mamerco infilzava esempi, che Scipione Affricano aveva accusato L. Cotta; e Catone il Censore Sergio Galba, e Marco Scauro bisavol suo P. Rutilio; come se tal sorte di deità e maestà difendessero Scipio e Cato1, e quello Scauro, cui questo Mamerco, obbrobrio de’ suoi, svergognava con tale operaggio. Otone insegnava gramatica: pinto per forza di Seiano nell’ordine de’ senatori, sua vile bassezza d’ardite sfacciatezze fregiava. Brutidio, di molta scienza ornato, poteva per la diritta salire in cielo; ma ebbe troppa fretta di passare innanzi agli eguali, ai superiori, e a sè medesimo. Errore di molti savi che per non aspettare il dolce fico con la gocciola, lo schiantano col lattificcio2.

    Paradiso; che dopo l’averle dipinte con maravigliosa evidenza, esclama: O fortunate, ec.

  1. Della libertà della patria, e non della deità e maestà tirannesca erano difenditori ferocissimi.
  2. Poiché Dante dice:

    ... tra li lazzi sorbi
    Si disconvien fruttare il dolce fico

    e altrove: