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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/415

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408 DEGLI ANNALI

con usanze, arti e parentadi, portino anzi qua, che tenersi là il loro oro e ricchezze. Tutte le cose, o Padri Coscritti, che ora crediamo antichissime, furon già nuove. Tennero i magistrati prima i Padri; poscia i plebei, indi i Latini; poi d’ogni sorte Italiani; tenendoli ora i Galli, anche questo farassi antico: e dove noi l’aiutiamo con esempli, s’allegherà per esemplo.

XXIX. Decretarono i Padri secondo la diceria del principe. E gli Edui fur prima i Romani senatori, per l’antica lega, e perchè soli tra i Galli si chiamano fratelli del popol romano. In questi giorni Cesare dichiarò patrizi i senatori più vecchi o discesi d’uomini chiari, restandovi pochi di quelle famiglie che Romolo appellò della gente maggiore, e di quelle che L. Bruto, della minore; e così delle arrote da Cesare dettatore per la legge Cassia e da Augusto per la Senia. Tra questi grati provvedimenti pubblici, bramando Cesare nettare il senato d’alcuni vituperosi, per dolce e nuovo modo tratto dall’antica severità, gli consigliò in disparte a conoscersi e supplicar di non esser più senatori; che gli consolerebbe con dir, loro esser usciti di quell’ordine di buona voglia, con buona scusa e meno vergogna che cacciandonegli per buon giudizio i censori. Per cotali azioni Vipsanio console propose che Claudio si gridasse Padre del senato: Padri della patria essere stati detti altri; doversi i meriti verso la repubblica nuovi onorar di vocaboli non usati, Ma egli diede in su la voce al consolo come troppo adulante. Fece il lustro, e si registrarono sei milioni e novecento quarantaquattromila. Allora aperse gli occhi a’ disordini di casa sua, e poco appresso, tirato pe’ capelli,