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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/440

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LIBRO DUODECIMO 433

sicurata l’onestà di lor mogli e figliuoli. A tali parole tutti gridarono, giurando ciascheduna nazione a sua usanza, di non temere armi, nè ferite giammai.

XXXV. Tanta prontezza, lo fiume in mezzo, i fatti ripari, i monti in capo, ogni cosa a noi atroce, a loro usata, atterrirono il nostro capitano; ma il soldato gridò: „Battaglia; virtù vincer tutto„; così ribadivano i tribuni e i prefetti, e l’esercito accendevano. Ostorio allora, fatto riconoscere i passi, gli fece tutti agevolmente guadare il fiume. Giunti al riparo e scaramucciando con armi da lanciare, n’eran feriti, e cadevano più de’ nostri; però, fatta la testuggine, disfecero quelle more, e alle mani venuti e del pari, i Barbari la diedono all’erta, e i nostri lor dietro, così gli armati alla leggiera come alla grave. Combattevano quei co’ tiri: i nostri a corpo a corpo, e gli disordinavano, non essendo coperti di corazza nè di celata; e quando s’appiccavano coi nostri aiuti, i Romani con le daghe e pili; quando si rivolgevano a’ Romani, gli aiuti con le spade e aste li ponevano in terra. Fu la vittoria famosa per la moglie e la figliuola di Carattaco prese, i fratelli arresi:

XXXVI. lui (come non son sicure l’avversitadi) da Cartismandua reina de’ Briganti, a cui si raccomandò, dato prigione al vincitore lo nono anno della guerra britannica. Gran dire se ne feo per l’isole e province vicine, e per l’Italia e Roma; ognuno desiderando vedere colui che tanti anni avea sprezzata la nostra potenza. Cesare per sua maggior gloria magnificava il vinto; e come a nobile spettacolo, chiamò il popolo. Per lo mezzo de’ soldati di guardia, armati in ordinanza, dinanzi a’ loro alloggiamenti


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