Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/193

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colui passò per casa Tiberio al Velabro; indi al Miglio d' Oro., sotto il tempio di Saturno. ove il salutarono Imperadore ventitre alabardieri: e lui del poco numero spaventato, levano in sedia ratti con le punte basse ; per la via s' accompagnano circa altrettanti , de' quali chi sa il fatto, chi stupisce, chi grida, chi sguaina , chi tace, per tenere da chi vincesse.

XXVIII. Giulio Marziale Tribuno non si mosse del campo della sua guardia per lo subitano caso:. o temesse non fosse tutto il campo corrotto, e d'esservi, se si opponeva, ammazzato; onde fu creduto consapevole. Ancora gli altri Tribuni e Centurioni anteposero all'onesto e incerto, la pessima sceleratezza presente, ardita da pochi, voluta da molti, patita da tutti.

XXIX. Attendendo Galba, di tutto al buio, a sagrificare e affaticare gl'Iddii dell'imperio, ormai d'altri, sentì romore, che a furia era portato nel campo un Senatore ; poscia , che egli era Otone. Correva Roma da ogni banda a dirgli, chi più del vero, chi meno, adulandolo pur ancora. Fatto consiglio, fu risoluto che si tentasse l'animo della coorte che guardava il palagio, non da Galba, per serbare all' ultimo la somma autorità; ma da Pisone, il quale, chiamatili dinanzi alle scalèe, disse: » Oggi è il sesto giorno, compagni miei, che io fui fatto Cesare, senza sapere quel che dovesse seguire, nè se tal nome da bramar fusse o da temere: che ciò sia rovina o ventura di casa nostra o della repubblica, in voi sta. Non lo dico per me, che nutrito nelle cose avverse, so bene che le prospere corrono non men pericoli ; ma del mio padre e del Senato e dell' imperio, mi scoppia