Pagina:Tarchetti - Fosca, 1874.djvu/107

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fosca 105

nato ieri; devi perdonare le mie dubbiezze, le mie esigenze, le mie contraddizioni. Adesso ti scrivo col cuore calmo, e conosco ciò che vi era di reprensibile nel mio contegno, allora non lo poteva. Ho sofferto molto a vederti partire, ma oggi mi sento quieta e felice. Tu non puoi comprendere la sorpresa, dirò quasi lo sbigottimento che provo in me stessa nello scrivere queste parole che non ho mai potuto né dire, né scrivere: «Mi sento felice!».

«Tant’è, bisognerà bene che tu mi conosca, ho promesso di raccontarti la mia vita e lo farò. Il medico mi ha detto che non potrò alzarmi prima di otto giorni, utilizzerò questo tempo nel farti il mio racconto. Oggi non lo potrei, ti scrivo con molta fatica.

«Se sapessi quanto mi è caro il tuo fazzoletto; lo tengo sempre sul cuore, dormo con lui; ho qui ancora i fiori che tu hai baciato; e alzando un poco la testa posso vedere la sedia su cui ti sei seduto: vi ho fatto metter sopra un mio abito perché non vi si segga più nessun altro. Oh mio Giorgio, mio adorato! mio mio! È egli vero?

«Non posso scriverti di più, mi duole il braccio; e poi non so nemmeno se potrai decifrare i miei caratteri. Sono felice e ti adoro, ecco tutto, non potrei dirti altro. Ieri, mentre salivi la scala, ho sentito la tua voce. Dio, che spasimo! Amami, Giorgio, amami. Il tuo cuore non ha che a pensare all’immensità della mia miseria per trovare in sé la forza di amarmi.

«Voglio avere un altro oggetto toccato da te, ho bisogno che tu mi dia qualche altra particella della tua personalità. Ti acchiudo un mio piccolo nastro, bacialo e rimandamelo.

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Ho passato tutto il giorno a sognare, e perciò non