Pagina:Tarchetti - Fosca, 1874.djvu/117

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fosca 115

«Ho domandato spesso a me medesima se l’apatia e l’egoismo, e talora quella melata crudeltà che li maschera, non sieno altro che una conseguenza di quelle leggi che regolano l’individualità, di quell’impossibilità assoluta di comunanza tra un essere e l’altro che ci tiene divisi e isolati, e forma di ciascun individuo un centro irremovibile nel gran mondo delle sensazioni. Dolori, speranze, affetti, tripudi, tutto è essenzialmente individuale. Sembra che da tutte le leggi della natura si sollevi una voce che ci grida: «Nessuno può addossarsi la soma dei tuoi dolori, o versarti le dolcezze delle sue gioie; nessuno può togliere od aggiungere un atomo al tuo essere: non riporre le tue cure che in te stesso».

«Credetti finalmente di essere amata.

«Un mattino trovai sul mio balcone un mazzo di fiori che vi era stato gettato dalla via. Sopra una cartolina che v’era nascosta dentro erano scritte queste parole: «Vi amo. Lodovico». Chi era questo incognito? Era giovine, bello, veramente innamorato di me? Non lo sapevo, nondimeno era felice, era pazza; v’era un uomo che mi aveva detto: «Vi amo;» ciò era già per me un avvenimento sì grande, che l’ordine delle mie idee ne era interamente sconvolto.

«Risolsi di tentare ogni mezzo per scoprire chi fosse lo sconosciuto che mi aveva indirizzato quel biglietto. Aveva già osservato da parecchi giorni che un giovine forestiero passava assai spesso sulla via, e sollevava gli occhi alle mie finestre con aria d’imbarazzo; ma egli era sì bello, sì elegante, e pareva esser anche sì ricco, che io non avrei mai osato illudermi che egli vi passasse per me. Io l’aveva d’altronde guardato sì poco e con tanta timidezza, che non era possibile che egli avesse tanto letto nell’anima mia da risolversi a scrivermi quelle parole. Mi pareva follia l’abbandonarmi a quella speranza.