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amore nell'arte 237

mie braccia, e guardandomi con occhi pieni di meraviglia e di amore, esclamò con suono di dolce rimprovero:

— Non mi amate voi dunque? Mi avete dunque ingannata?

Dio buono! ingannata... e come? Apprezzava dunque ella tanto il nostro amore? Era amore vero e sentito? Era un abbandono logico, naturale, doveroso quello di gettarsi tra le mie braccia? Mi parve di comprendere qualche cosa: mi affrettai a rispondere, non meno commosso di lei:

— Perdonate, è una strana confusione di idee che si è formata nella mia anima: è gioia, è amore, è sorpresa, sono mille sensazioni che mi opprimono per quanto siano dolci e nuove, anzi perchè sono tali mi opprimono... Non ho mai amato, Regina, non fui mai amato; è naturale che io debba trovarmi così confuso ed oppresso, così dolcemente oppresso..., avrei bisogno di sollevarmi colle lacrime; se fossi, come voi dite, un fanciullo, se fossi solo, vorrei piangere, e piangere fino a morirne.

— Quanto siete sensibile! mi disse Regina, quanto siete nobile e buono! Ed è in vero la prima volta che amate? e son io che vi avrò inspirato il primo amore, che potrò farvi conoscere le prime dolcezze di questo sentimento? Oh ditemi che io non m’inganno, che mi amate; ho osato tutto con voi, ho osato troppo, non punitemi col vostro silenzio, con una riserbatezza che mi offende, perchè mi fa supporre che il vostro cuore abbia emesso un giudizio troppo severo su di me.

Compresi che ella mi amava veracemente, che nel suo stesso abbandono, nella sua stessa felicità vi era la prova più eloquente del suo amore. È dell’amore che io doveva lagnarmi, non di lei; e mi accinsi a rassicurarla con quanta potenza di persuasione io seppi attingere dalla mia mente sconvolta ed agitata. Passai seco alcune ore