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Fuori di Porta Magenta, vi è dal lato destro della via un bel torrente, e un ponticello di tavole non più largo di due spanne. Le piaceva di andare su e giù di quel ponte. Lì vicino avevamo anche trovato una capanna disabitata, il cui uscio era aperto; e vi passavamo volontieri alcune ore benchè fosse piena di topi e di lucertole. La chiamavamo il nostro tabernacolo.

Tutti i contadini ci conoscevano e ci facevano mille dispetti. Alcuni fanciulli ci gridavano dietro: «Oh gli amorosi! gli amorosi!»

Una domenica, vistici sedere in un prato, alzarono una tavola che chiudeva lo sbocco d’un canale d’irrigazione.

— Mi pare d’esser tutta in un bagno!

— Ed io!

Prima che fossimo balzati in piedi, il prato era interamente allagato; le sue sottane, il suo scialle erano immollati; salvai a stento il suo cappello e i suoi guanti che galleggiavano. Essa ne rideva come una pazza. Quante volte ci siamo ricordati di quell’avvenimento!

Quella donna sì forte, sì ricca di buon senso, in alcune cose sì seria, aveva tutte le velleità, tutti i gusti pazzi e bizzarri di una bambina. «La mia non è che una rivendicazione; diceva ella qualche volta mezzo tra il serio e il faceto; non mi hanno lasciato il tempo di essere una fanciulla, e me ne rivendico adesso. Meglio esserlo a venticinque anni che mai»!

E lo era in fatto, e me ne dava tutte le prove possibili. La mia stanza era divenuta un caos, piena di uccelli, di fiori, di nastri, di frastagli di carta, di cartocci di confetti, di scatole. Essa vi metteva tutto a soqquadro. Chiudeva di giorno le imposte, e vi accendeva tutte le candele. Spesso diceva sentire il bisogno di gridare, di gridar forte, di urlare, «non posso fare a meno, mi sento