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fosca 93

— Dammi del tu, — riprese improvvisamente riscuotendosi.

— Con tutta l’anima.

— Chiamami col mio nome.

— Fosca.

— Di’: Giorgio e Fosca.

Lo dissi.

— Dimmi: ti amo.

— Ti amo.

— Baciami.

La baciai con finto trasporto.

— Oh Giorgio!

Proruppe in lacrime, e si coperse il volto colle mani. Passammo quasi una mezz’ora senza parlare. Quello sforzo l’aveva esaurita. Mi guardava in silenzio, io la guardava in silenzio. La notte era sì quieta che sentivamo gli oscillamenti gravi e misurati del pendolo di un grosso orologio di una torre che sovrastava alla casa.

— Come stai? — le chiesi io finalmente.

— Bene e male ad un tempo. Tu mi comprendi. Se morissi ora sarei felice: ciò non annullerebbe le angoscie di tutta la mia vita, è vero, ma il morire felice sarebbe già per me un bene insperato.

— Sarai più felice vivendo.

— Mi amerai se viva?

— Sì...

— Non dirlo, non dirlo; cioè, sì, dillo. Povero giovine! — aggiunse ella prendendo le mie mani — io comprendo l’importanza del sacrificio che ti impongo. Io lo so che tu non puoi sentire per me che della pietà, ma ho caro d’illudermi, e ho caro il sentimento che ti spinge a far nascere in me queste illusioni. Una volta credeva che la pietà fosse poca cosa, che non si potesse non sentirla, perché io aveva pietà di tutto ciò che soffriva, fosse