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fosca 97

— Sei tu, sei tu, mi disse con gioia; non dormiva ma sognava. Mi pareva di essere ancora fanciulla, e che tu fossi il mio angelo custode, quell’angelo che allora pregava tutte le sere, e che immaginava dovesse vegliare la notte al mio capezzale; mi sembrava che tu avessi delle ali bianche. Ti ricordi quando si era fanciulli? Pensare che allora non ti conosceva, non ti amava! Quando si era fanciulli!...

— Eri più felice allora?

— Sperava di divenirlo, e perciò lo era. Dio! Come me ne ricordo bene in questo momento! Al mattino, quando ci si svegliava per tempo, e si sentivano passare i primi carri come adesso, e abbaiare i cani da lontano, e si vedeva entrare il primo filo di luce per la finestra. Che senso singolare misto di paura e di gioia! Hai provato anche tu queste cose? Te ne sovvieni?

— Sì, e me ne sovvengo anch’io.

— Qualche giorno ti conterò tutta la mia vita sai, voglio che tu conosca il mio passato. Aveva incominciato adesso a scrivere per te alcune memorie, e voleva che ti fossero consegnate dopo la mia morte, ma non ho potuto continuare; stavo così male! Ora non voglio che tu le veda; e poi ora non devo morire. Io sono guarita. Apri le imposte delle finestre, voglio vedere le stelle. Così, solleva le cortine.

Il cielo era chiaro e sereno; ma l’aurora aveva già incominciato a spuntare, e non si vedevano che poche stelle pallide e quasi bianche. La brezza del mattino si cacciava innanzi alcune nubi assai basse, e con tale impeto che la luna, ora velata da esse, ora scoperta, pareva correre a precipizio pel cielo. Di lontano si sentivano trillare i grilli nelle praterie.

— Ritorna vicino a me — mi diss’ella. — Siediti ancora.