Pagina:Tassoni, Alessandro – La secchia rapita, 1930 – BEIC 1935398.djvu/279

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canto primo 273


33
     Quivi rifece antenne, arbori e sarte,
e rivide le poppe e le carene.
Ma de’ compagni suoi la maggior parte
cercando andar per quelle piagge amene,
e trovar le vallette in ogni parte
di cannemele e zuccari ripiene
e di starne e fagiani e daini e lepri
che scherzavan fra i mirti e fra i ginepri.

33
     Era ancor primavera e da le viti
pendean l’uve mature, e i rami tutti
parevano inchinarsi a fare inviti
ch’altri cogliesse i lor maturi frutti;
ma fra i gusti piú cari e piú graditi
(che divennero poscia amari lutti)
era il veder fra le selvette ombrose
or mostrarsi, or fuggir le ninfe ascose.

34
     La vaga gioventú focosa e ardente
correa per abbracciarle, e correa in vano;
ch’elle si nascondeano immantenente,
e su l’avvicinar fuggian di mano.
Ecco una n’apparia bella e ridente,
e sembianze d’amor fea di lontano
fingendo d’aspettar; ma poi d’appresso
scoccava l’arco e fuggia a un tempo stesso.

35
     Gli strali erano d’oro, e piaga mai
nel suo colpire alcun di lor non fea:
ma sentiva il percosso acerbi guai
per l’arciera crudel che ’l percotea,
né di seguirla e di cercarla ai rai
de la luna e del sol si ritenea:
ed ella ad or ad or gli si mostrava
ne l’aspetto gentil ch’ei piú bramava.