Vai al contenuto

Pagina:Terenzio Mamiani Poesie.djvu/326

Da Wikisource.
248 idillj.

In San Pietro, diss’io, non vidi scolto
Nè dipinto giammai un si bel volto.
          25Fior di maggese, e mille zerbinotti
Presso ti stanno e avvisano lor prese;
Chè roccolo non à tanti merlotti
Nė tanti agrumi tien Villa Borghese:
Ma chi mi fa dormir di male notti
30È un certo fusto che va per le chiese:
Fiore di mercorella e fior di cisto,
Io lo farò saltar da Ponte Sisto.
          Ma, Crezia, i’ son per te cane che abbaja,
Chè tu, crudel, non m’odi e fai la sorda:
35Già vengo roco più d’una ghiandaja,
E al mandolino è già rotta una corda.
Fior di quel, fior di questo a centinaja
Vo nominando, e quante mi ricorda
Aver veduto in prati erbe fiorire;
40Ma tu non senti o tu non vuoi sentire.
          Un gran torto mi fai, dolce bocchino,
A disprezzar per questo lo mio amore,
Che da spender non ò sempre un zecchino,
E ’l mio mestiere è quel di friggitore;
45Nė badi assai che un conte palatino,
Un milordo inghilese, un monsignore
Prender su me non ponno il sopramano,
Chè il mio sangue è, per Dio, sangue romano.
          Son friggitore, è vero, a Sant’Andrea,
50Ma non ò conti aperti con veruno:
Povera vita faccio ma non rea,
E so quando è mestier stare a digiuno:
Io non ò trine addosso da livrea,
Vivo del mio sudor nè servo alcuno;
          55Non son palafreniero, nè scozzone,
Nè caudatario, nè guardaportone.
Non fo per dir, ma il giorno delle feste,
Quand’ò la giacchettina di velluto
E la rezzola guernita di creste,
60Fibbie d’argento e scarponcel puntuto,