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di acutezza e di profondità d’ingegno quanto Pittagora (t. 2, p. 143). Io non voglio su tale argomento trattenermi più a lungo, e bastami di avere in brieve accennato qual aumento prendessero fin d’allora le scienze in Italia, e con qual felice riuscimento le coltivassero i nostri maggiori, mentre tutta l’Europa, se se ne tragga soltanto una piccola parte di Grecia, giaceasi fralle tenebre dell’ignoranza e della barbarie sepolta profondamente. Chi bramasse altre notizie intorno alla vita e alla filosofia di Pittagora, oltre gli autori da noi citati, può vedere la Vita scrittane dal Dacier, e il libro De natura et constitutione Philosophiae Italicae seu Pythagoricae di Giovanni Scheffer, stampato in Upsal l’anno 1664, e gli estratti che di ambedue ha dati il le Clerc (Bibl. chois. t. 10, p. 159 e 181), e finalmente il Piano Teologico del Pittagorismo del P. Michele Mourgues della Compagnia di Gesù, stampato in Tolosa l’anno 1712.


Fama in cui era quella scuola. VIII. La fama in cui era Pittagora, fu cagione che molti a lui concorressero, e se ne facesser seguaci. Quindi, anche lui morto, la filosofia pittagorica si sostenne per alcun tempo in quella provincia medesima in cui avea avuto principio, e nelle vicine ancora si sparse, e singolarmente nella Sicilia. Piena di Pittagorici, dice Cicerone (De Orat. l. 2, n. 154), era una volta l’Italia, allor quando fioriva in essa la grande Grecia. E l’eruditissimo Giannalberto Fabbricio presso a ducento Pittagorici vien nominando (Bibl. Graec. t. 1, p. 490), che in questo tratto d’Italia e nella Sicilia fiorirono,