Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/181

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quello essere stato lavoro o di fortuito caso o di umano accorgimento; quindi rispettino e onorino gl’Iddii, da’ quali ogni bene e ogni vantaggio viene agli uomini. Abbiano inoltre l’animo da’ vizi d’ogni sorta sgombero e puro; perciocchè gl’Iddii non tanto de’ sacrifici e delle sontuose feste si piacciono, quanto de’ saggi ed onesti costumi degli uomini. A qual tempo egli vivesse, non si può esattamente determinare. Diodoro il fa discepolo di Pittagora; ma il Bentley, nell’Apologia della sua Dissertazione sopra le Lettere a Falaride attribuite, con buoni argomenti dimostra essere stato Zaleuco più di Pittagora antico. I due fatti che di lui si raccontano, cioè che avendo egli nelle sue leggi ordinato che agli adulteri cavati fosser gli occhi, sorpreso in adulterio il proprio suo figlio, il rigoroso insieme e tenero padre per divider la pena, e mantenere a un tempo la legge, un occhio facesse cavare al figlio, l’altro a se stesso; e che avendo egli pur fatta legge che niuno venisse armato a favellare al popolo, ed avendo egli stesso incautamente in tempo d’improvviso tumulto contravvenuto alla sua legge, da se medesimo si uccidesse; questi due fatti, io dico, son raccontati da autori troppo recenti, perchè meritino o pronta fede o esatta ricerca. Oltre che, per ciò che appartiene al secondo, una somigliante morte da altri si attribuisce a Caronda, a Diocle da altri, come or ora vedremo.


Caronda. XXX. Caronda fu egli pure famoso tra gli antichi legislatori. Era egli nativo di Catania in Sicilia secondo alcuni, secondo altri di Turio nella Magna Grecia; e secondo il Bruckero visse