Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/22

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di g. tiraboschi xxi

di far sempre, cioè, e d’imparar qualche cosa che riuscir dovesse all’utile suo ed altrui1; acquistossi tanto credito e tanta fama, quanta pochissimi altri potevano pareggiare.

A tutto quello ch’egli operò a vantaggio delle lettere, è da aggiungersi il corredo delle sue virtù, della modestia, della temperanza, della rettitudine, dell’innocenza, della facilità, e di una singolare pietà ed amore verso Dio e gli uomini. Con religiosa tranquillità, fra le lagrime di tutti i buoni, morì li 3 di giugno dell’anno 1794: nè parve meno santa la morte sua, di quello che a tutti lodevole ne fosse paruta la vita. Fu seppellito nella suburbana Chiesa de’ SS. Faustino e Giovita, dove il Conte Filippo Giuseppe Marchisi gli pose un monumento con Iscrizione composta dal P. Pompilio Pozzetti delle Scuole Pie, Prefetto della Biblioteca Estense, unitamente all’ab. Carlo Ciocchi. L’uno e l’altro di questi letterali si è studiato di tramandare alla posterità il nome di un tanto uomo, con iscritture già pubblicate o che stanno per vedere la luce; onde a noi non rimase che di consacrare a sua lode il poco che intorno a lui abbiamo in queste memorie raccolto.

  1. Il Padre Pompilio Pozzetti narra nell’Elogio del Tiraboschi, che questi, se la morte non lo avesse prevenuto, meditava di scrivere un Lessico per le antichità del medio evo, non che un’opera sull’origine dei principati in Italia, ed un’altra sugli obblighi che gli stranieri hanno cogli Italiani per le scoperte d’ogni maniera ond’essi giovarono le scienze. — Nota del Traduttore.