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196 parte terza

del mondo raccogliessero quanto vi aveva di più superstizioso, in tutte le altre cose sdegnaronsi essi di sembrar debitori di cosa alcuna ad altrui. Un’altra ragione ancora; secondo la riflession del Bruckero (t.2, p. 6), concorse a rendere i Romani per lungo tempo nemici di ogni sorta di studi. Temevano que’ gravissimi magistrati che se i giovani presi fossero un giorno dall’amor delle lettere, questo non venisse a raffreddare daprima, e poscia ad estinguere interamente quel guerriero vigore che fin allora aveano conservato, e a render loro increscevole quella stentata e faticosa vita che aveano fin allora condotta. Per tutte queste ragioni non furono gli antichi Romani punto solleciti di tutto ciò che a lettere ed a scienze appartiene. Alcuni ben rozzi versi e senza alcuna armonia usati talvolta nelle solenni pompe e ne sagrifizii, certe rusticane e buffonesche poesie recitate sopra i teatri, gli annali scritti da’ pontefici, in cui i più memorabili avvenimenti della Repubblica accennavano col più digiuno e più secco stile che mai si potesse; ecco tutti i monumenti che del sapere degli antichi Romani ci sono rimasti, come confessa lo stesso ab. le Moine (p. 8, ec.). La tragedia, la commedia, il poema, la storia, la rettorica, la filosofia, anzi la gramatica stessa eran nomi sconosciuti tra loro, e in tutte le storie romane noi non troviamo menzione di un solo ne’ primi secoli che in alta stima salisse pel suo sapere. Egli è vero che troviamo scuole in Roma fin dal principio del quarto secolo; perciocchè Dionigi Alicarnasseo (p. 709) racconta che