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246 parte terza



I filosofi e i retori greci cacciati da Roma, e per qual ragione. VI. Così cominciavano in Roma a fiorire gli studi, e cominciavano i Romani ad intendere che il valor militare non era la sola strada che conducesse all’immortalità del nome. I filosofi greci vedevano i più nobili cittadini farsi loro discepoli, e molti ancora ne vedevano alle loro scuole i greci retori ossia precettori dell’eloquenza. Di questi io non trovo veramente notizia alcuna distinta presso gli antichi scrittori. Ma che molti ve ne avesse in Roma, chiaro si rende e dal discorso di Polibio a Scipione riferito poc’anzi, e molto più dal decreto che ora riferiremo, e per cui poco mancò che sì lieti principii fino dalla radice non fosser troncati. L’anno 592, cioè sei soli anni dappoichè venuti erano a Roma i filosofi e i retori greci, ecco un severo editto del romano senato, che commette al pretore di fare in modo che retori e filosofi più non siano in Roma. Svetonio (De Cl. Rhetor. c. 1) e Gellio (l. 15, c. 11) ce ne hanno conservate le precise parole: C. Fannio Strabone et M. Valerio Messala Coss. (questi furono appunto consoli nel detto an 592) Senatusconsultum de philosophis et rhetoribus factum est M. Pomponius Praetor Senatum consuluit, quod verba facta sunt de philosophis et rhetoribus. De ea re ita censuerunt, ut Marcus Pomponius praetor animadverteret, uti e Republica fideque sua videretur, Romae ne essent. Qual fosse il motivo di sì rigoroso decreto e qual ne fosse l’effetto, i sopraccitati scrittori nol dicono chiaramente. Quanto al motivo, pare che que’ severi Padri Coscritti, avvezzi a non conoscere altro studio che quello