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276 parte terza

le quali autorità hanno presso di me assai maggior forza che non tutte le ragioni dal Dacier allegate (préface au iv tome d'Hor.) a provare il contrario. Veggiamo per qual maniera ne parli Orazio che più notizie ancora ci somministra intorno a questo poeta.

 Quid? cum est Lucilius ausus
Primus in hunc operis componere carmina morem,
Detrahere et pellem, nitidus qua quisque per ora
Cederet, introrsum turpis? Num Laelius, aut qui
Duxit ab oppressa meritum Chartagine nomen,
Ingenio offensi? aut laeso doluere Metello?
Famosisque Lupo cooperto versibus? Atqui
Primores popoli arripuit, populumque tributim:
Scilicet uni aequus virtuti, atque ejus amicis.
Quin ubi se a vulgo et scena in secreta remorant
Virtus Scipiadae et mitis sapientia Laeli,
Nugari cum illo, et discincti ludere, donec
Decoqueretur olus, soliti.

Da’ quali versi noi raccogliamo che piene di amaro fiele erano le satire di Lucilio; ch'egli non la perdonava a chi che fosse, e che ciò non ostante godeva dell’amicizia de' più ragguardevoli cittadini, quali erano Lelio e Scipione. t Loro stile. II. Per ciò nondimeno ch è dello stil di Lucilio, confessa Orazio che non era esso colto abbastanza, e che la fretta di scrivere e l’insofferenza della fatica non gli permetteva di usare, come era d’uopo, la lima a ripulire i suoi versi. Ecco come egli ne parla (l. 1, sat. 4):

Hinc omnis pendet Lucilius, hosce sequutus,
Mutatis tantum pedibus numerisque facetus,
Emunctae naris, durus componere versus.
Nam fuit hoc vitiosus: in hora saepe ducentos,