n.
Dialogo antico su questo argomento: non ne
è autore tic
Tat ito ne
Quiutiliauu.
loro predecessori. Avvenne al medesimo tempo,
come nella Dissertazion preliminare si è osservato, che il gran numero di stranieri che da
ogni parte dell’impero accorrevano a Roma,
cominciò ad alterare la purità del linguaggio,
e un non so che di rozzo , di aspro e d’incolto s1 introdusse nel favellar de’ Romani, che
crescendo ogni giorno più lo condusse finalmente a quella barbarie a cui lo vedrem giunto
ne’ secoli susseguenti. Così tutte le circostanze
concorsero a rendere sempre maggiore il decadimento dell’eloquenza. Noi dobbiamo ora vederne e esaminarne i progressi che appartengono all’epoca di cui trattiamo; in cui vedremo
la romana eloquenza decadere bensì, ma di
tanto in tanto far qualche sforzo per sollevarsi
ancora, per modo che si potesse sperare di
vederla un giorno risorgere, se più felici stati
fossero i tempi che venner dopo.
II. Innanzi ad ogni altra cosa vuolsi qui
esaminare ciò che appartiene all’antico Dialogo
intitolato De Caussis corruptae Eloquentiae,
che or tra le opere di Quintiliano, or tra quelle
di Tacito si vede stampato, da cui molto possiam raccogliere intorno a questo argomento.
Chi siane l’autore, non è facile a stabilire. Da
alcuni credesi Quintiliano, da altri Tacito; ma
quasi tutti convengono che nulla si può affermare di certo. Io credo anzi che si possa affermar con certezza che nè all’uno, nè all’altro
non si può attribuire. E quanto a Tacito, io
confesso che non so indurmi ad abbracciare
il parere di quelli che nel fanno autore. Al sol
leggerne due, o tre periodi, a me pars di