Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/392

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l’ignoranza. Ma questo era il pregio che allora affettavasi comunemente. In vece di volgersi a seguire i più antichi autori, e di ritrarne in loro stessi, quanto fosse possibile, l’eleganza, volevan parere di superarli in erudizione e di lasciarseli di gran lunga addietro. E in tal modo la letteratura, in vece di perfezionarsi, veniva ognor decadendo. Ma di ciò si è lungamente parlato altrove. VII. Se ci rimanesse l’opera che avea scritta Svetonio intorno a’ retori più illustri, avremmo in essa raccolte insieme le notizie a loro attinenti. Ma una sola piccola parte ce n’è rimasta; e di que’ di cui in essa egli parla, niuno appartiene a’ tempi di cui trattiamo. Dagli altri autori nondimeno noi raccogliamo che molti ve n’ebbe in Roma, che ottennero non ordinaria fama. De’ due tra essi, che fra tutti furono i più rinnomati, cioè di Seneca il padre e di Quintiliano, abbiam già parlato in altro luogo; benchè del primo si dubiti s’egli tenesse pubblica scuola, o se non anzi ei sia soprannomato il retore solo per le declamazioni da lui raccolte. Veggiamo dunque quali, oltre essi, fosser coloro di cui con maggior lode si parla dagli antichi scrittori. VIII. Porcio Latrone, se crediamo a Seneca il retore, fu tra essi il più famoso; tante sono le lodi ch’ei ne dice. Ne parla assai lungamente nell’esordio del primo libro delle Controversie; e ne parla come d’uomo d’ingegno al pari che d’indole del tutto straordinaria. Quando prendeva a studiare, continuava notti e giorni a studiare senza intervallo alcuno. E VII. Copi* ili retori in Rollili. viri. Cara li «tr** <1« Porcio L.» trono.