Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/397

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36o LIBRO di cui Quintiliano parla a’ più luoghi; ma io avendo diligentemente confrontato i diversi passi che Quintiliano ne cita, con questo breve Trattato, credo di poter affermare che esso non ne sia che un assai breve ed imperfetto compendio; perciocchè pochissimo vi si vede di ciò che secondo Quintiliano vedevasi nel Trattato di Celso; e la più parte de’ passi ch’egli ne allega, ivi non si ritrovano. Di Lena non ci è giunta notizia alcuna. Virginio ancora non sappiamo chi fosse; poichè ei non può essere certamente uno de’ due rammentati da Plinio il Giovane (l. 2, ep. 1; l. 6, ep. 21), poichè questi viveano sotto Traiano; e Quintiliano che parla di Virginio come d’uomo già trapassato (perciocchè ei non suole giammai nominare i viventi), pubblicò i suoi libri sotto il regno di Domiziano. Nella Biblioteca degli Scrittori milanesi dell’Argelati leggesi un’erudita lettera del ch. proposto Irico (art. Virginius), in cui si sforza di dimostrare che il Virginio rammentato da Quintiliano è il celebre Virginio Rufo che dopo aver più volte ricusato l’impero , morì pieno di gloria e di meriti verso la repubblica, regnando Nerva; e ch’egli è l’autore de’ libri ad Erennio attribuiti a Cicerone. Ma egli è certo che il Virginio di cui Quintiliano ragiona, era già morto, come abbiamo accennato, quando egli scriveva; ed e innegabile che Quintiliano scrisse sotto il regno di Domiziano. Ei dunque non può essere Virginio Rufo. Innoltre Plinio nel lungo elogio che fa di quest’uomo valoroso (l. 2, ep. 1), fra le moltissime cose che ne dice in lode, non fa alcun