Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/133

Da Wikisource.

ad Hist. Land. sen., vol 4 Script. rer. ital.), che non ha lasciato più luogo ad alcuna questione.

Capo IV.

Filosofia e Matematica.

I. Eran già presso a quattro secoli che la filosofia giacevasi tra’ Romani quasi dimenticata; perciocchè dopo la morte di Seneca e di Plinio il Vecchio appena vi era stato fra essi chi avesse preso ad illustrarla, scrivendo libri di tale argomento; e i molti filosofi greci che furono in Roma, ottenner bensì ammirazione ed applauso, ma tra’ Romani non ebber molti imitatori e seguaci. Ma al tempo de’ primi re ostrogoti, che parve destinato al risorgimento di tutte le scienze, un uomo celebre per nascita e per dignità, e fornito di acuto ingegno e di instancabile studio, si volse con tale ardore allo studio della filosofia, che pareva dovesse essa rifiorire, e aver molti e valorosi coltivatori. E forse ciò sarebbe avvenuto, se la tranquillità de’ tempi di Teodorico e di Atalarico non si fosse poi cambiata sotto a’ lor successori in funestissime turbolenze, che devastando miseramente l’Italia tutta condussero ancor le scienze a irreparabil rovina. Io parlo del celebre Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, uno de’ più celebri uomini di questa età, di cui oltre tutti gli autori delle Biblioteche sacre e profane han trattato assai lungamente l’abate Gervaise nella Vita pubblicatane in Parigi l’anno 1755, e il P. Daniello Papebrochio della Compagnia