Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/359

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298 LIBRO sedere deprehensi sunt; inter quos et aliqui episcopi — et Theodulphus Aurelianensis fuere (De Gest. Lud. Pii adan. 817). Lo stesso afferma l’autore di un’antica Cronaca pubblicata dal du Chesne (Script. Hist. Franc, vol. 3, p. 148), e Tegano scrittore egli pure di questi tempi (De Gest. Lud. Pii, c. 22), il quale aggiugne che i vescovi rei confessarono il lor delitto. Ma in questo numero non vuol <$crto comprendersi Teodolfo, il quale sempre si protestò innocente. Ecco in qual maniera egli scrive al vescovo Agiulfo: Non regi aut proli, non ejus , crede, jugali Peccavi, ut meritis haec mala tanta veham: Crede meis verbis , frater sanctissime, crede , Me objecti haud quaquam criminis esse reum. E poco appresso: Haec ego clamavi, clamo , clamabo per aevum , Haec donec animae membra liquor vegetat. Qui modo non credit , cogetur credere tandem , Ventum erit ut magni Judicis ante thronum , ec. L. 4, carni. In somigliante maniera egli parla al vescovo Modoino (ib. carm. 5), con cui pure si duole d’essere stato condennato benchè innocente. Queste sì solenni proteste fatte da Teodolfo ci potrebbon agevolmente far credere ch’ei non fosse complice di un tal delitto. Ma pare ch’ei non potesse allora persuaderlo ad alcuno, poichè gli storici contemporanei comunemente il dicon reo. Anzi lo stesso vescovo Medoino, a cui avea egli scritto protestandosi innocente, nel rispondergli che fa in versi egli pure, benché