Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/557

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4^6 LIBRO o innanzi a’ giudici non era molto in uso; e se in alcune città usavasi pure di trattare le cause per mezzo di avvocati che perorassero] questi valevansi della scienza legale, anzichè dell’eloquenza, e giaceasi però quest’arte dimenticata quasi interamente e negletta. Sorte meno infelice ebbe la poesia, poichè se non vi furon leggiadri ed eleganti poeti, furon nondimeno a quest’epoca molti, e tra essi alcuni non del tutto barbari verseggiatori, u Allor quando Federigo I, venuto in Italia l’anno 1158, tenne la solenne assemblea in Roncaglia nel Piacentino, racconta Radevico canonico di Frisinga, che alcuni poeti si trovarono, i quali presero a celebrare co’ loro versi le azioni dell1 imperadore: Fuere etiam, qui ibidem in publico facta imperatoris carminibus favorabilibus celebrarent (Script. rer. ital. t. 6, col. 786). Ma non sappiamo chi fosser questi poeti; e probabilmente non dobbiamo dolerci che coteste lor poesie non siano a noi pervenute ». I monaci che in questa età furono i più indefessi coltivatori di tutti gli studj, a questo ancor si rivolsero , e noi cominceremo ad annoverare alcuni di loro de’ quali o ci sono rimaste le poesie, o almen sappiamo che in esse si esercitarono. VII. Molte poesie di Alfano, prima 1 lonaco casinese e poi arcivescovo di Salerno dal 1057 fino al 1085, si rammentano da Pietro Diacono (Da Vir. ill. c. 19), e ne abbiamo ancora parecchie date alla luce dall’Ughelli (Ital. sacra t. 10 Colet, ed.), dal Mabillon (Acta. SS. Ord. S. Bened. t. 1), dal cardinale Baronio (Ann. eccl. ad an. 1111) e da altri, oltre molte che