Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/564

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QUARTO 5o3 fiorisse Mose. Anzi egli slesso di ciò ci assicura , perciocchè conchiude il suo poemetto così: Post septingentos annos septemque peractos Virginis a partu, et populos tibi Marte subactos. Niuno avea ancora ardito di opporsi a tale opinione. Ma il Muratori nel far la nuova edizione di questa operetta, prese a combatterla, e a sostenere che nè lo scrittore di essa era vissuto al secolo VIII, nè apparteneva alla nobile e antica famiglia de’ Mozzi. E quanto alla prima quistione, egli ne ha addotte sì chiare pruove, che conviene esser cieco per non vederne la forza. Il solo titolo che abbiam di sopra recato , è tale argomento che non ammette risposta; perciocchè nè lo stile è di que’ tempi, nè allora a’ nomi de’ principi aggiugnevasi il Primo , Secondo , ec.; nè gV imneradori dicevansi Costantinopolitani, perciocchè essendovi un imperador solo , questi serbava il nome d1 imperador de’ Romani, de’ quali in fatti egli era ancora sovrano. Aggiungasi il magistrato de’ Dodici, da cui reggevasi Bergamo ai tempi dell’autore , il che all’età de’ Longobardi non compete in alcuna maniera; e più altre pruove che si potrebbono arrecare, ma che non son necessarie a chi ha-puntq di lume di buona critica. Atterrata questa opinione, il Muratori propone la sua, cioè che Mosè autor di questo poema vivesse nel XII secolo. Egli osserva che parlando il poeta della famiglia de’ Mozzi fa onorevol menzione singolarmente di un Ambrogio. Or un Ambrogio della famiglia de’ Mozzi fu appunto vescovo di Bergamo dall’anno 1 11 a fino