Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/626

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QtJABTO 565 annalisti camaldolesi, se Guido fosse stato monaco della Pomposa, l’abate non l’avrebbe già invitato e pregato a recarvisi, ma usando del suo diritto lo avrebbe con autorità richiamato. E se egli noi fosse stato, ripiglio io, come avrebbe potuto Guido d’Arezzo istruire innanzi a tutti Michele e gli altri monaci della Pomposa nel canto? come avrebbe potuto chiamar Michele suo fratello, suo l’Ordine in cui vivea Michele, e suo padre l’abate Guido? e come avrebbe potuto questi lasciarsi sedurre da’ nimici di lui, e con essi unirsi a travagliarlo? Per altra parte, benchè l’abate Guido potesse usare del suo diritto , trattandosi però di un uomo che da più vescovi e dal papa medesimo era invitato a starsi con loro, egli avrà amato meglio di dolcemente allettarlo a far ritorno all’antico suo monastero, Egli in fatti determinossi a ciò fare, come siegue a scrivere al monaco Michele, a cui soggiugne: Tanti itaque patris orationibus flexus, et praeceptis obediens, prius, auxiliante Domino, volo hoc opere tantum et tale monasterium illustrare, meque monachum monachis praestare; cum praesertim simoniaca haeresi modo prope cunctis damnatis episcopis-timeam in aliquo communicari. Sed quia ad praesens venire non possum, interim tibi de inveniendo cantu optimum dirigo argumentum, nuper nobis a Domino do.tum, et. utilissimum comprobatum. Ed è verisimile che poscia vi si recasse. Ei finalmente conchiude la lettera pregando Michele a salutare in suo nome Martinum priorem sacrae congregationis, nostri inique maximum adjutorem... fratrem quoque