Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/166

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PRIMO l45 L\. Rimane a vedere s’ei sia stato ugualmente fedele e sincero nella descrizion che ci ha data de’ paesi da lui corsi viaggiando. Ma prima di entrare in questo esame, vuolsi cercare ove e quando prendesse egli a scriverla. Di ciò ei non parla; e nulla pur si dice nella prefazione premessa da Francesco Pipino alla sua traduzione, qual essa è nel codice Estense, benchè in quella che si vede tradotta in lingua italiana, e pubblicata dal Ramusio, ciò pure si accenni. Nel proemio premesso al codice Soranzo si dice solo, come già abbiamo osservato, che Marco si accinse a quest’opera, essendo prigion di guerra in Genova. Il Ramusio nella sua prefazione racconta assai più stesamente la stessa cosa. Ei dice prima che i tre viaggiatori, tornati a casa, non poterono sì facilmente esser da’ loro parenti riconosciuti, tanto eran essi cambiati nelle sembianze; quindi descrive a lungo una magnifica festa ch’essi diedero, in cui spiegarono le gran ricchezze che seco avean portate in abiti, e in tal maniera accertarono tutti che essi erano que’ medesimi che ventisei anni addietro aveano abbandonata Venezia. Aggi tigne, che facendosi molti a chieder novelle a Marco delle cose da lor vedute, e delle ricchezze di que’ gran principi d’Asia, e non sapendo Marco usar altri numeri nel ragionare, che di milioni e milioni, la casa Polo ne ebbe il soprannome di Milione; ed egli afferma di averla veduta così nominata ne’ libri pubblici; e che la corte della lor casa chiamavasi anche a suo tempo del Milione. Ma Apostolo Zeno (Bibl. t. 2, p. 186) cita altri scrittori che ripeton l’origine di tal TiRAnoscHi, Fol. IF. 10