Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/201

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l8o LIBRO differita allo spazio sol di sette anni la presa di Gerusalemme. In tal maniera, mentre ancor vivea Gioachimo, si spacciavano profezie finte a capriccio, e a lui francamente si attribuivano. Questo stesso ci mostra che Gioachimo era tenuto universalmente in concetto di vero profeta; ma insieme ci avverte a non fidarci troppo alla cieca a ciò che anche gli scrittori contemporanei ci raccontano essere stato da lui predetto; poichè forse essi poterono troppo facilmente dar fede alle voci incerte del popolo, che su ciò si spargeano. XI. Come potrem noi dunque conoscere finalmente ciò che pur vorremmo sapere, se Gioachimo fosse, o non fosse profeta? L’unico mezzo a ben giudicarne sembrami quello di cui ha fatto uso il P. Papebrochio, cioè consultare le opere stesse che di lui ci sono rimaste; vedere se in esse egli abbia predetto cose avvenire, e se esse siansi di fatto avverate. Or egli rapporta due lettere da Gioachimo scritte l’una l’anno 1191 ad un suo amico di Messina, il quale avealo avvertito che il re Tancredi mostravasi contro di lui acceso di fiero sdegno; l’altra l’anno 1 k)3 al medesimo re che con sua lettera avealo minacciato di distruggere i monasteri della sua Congregazione; e in amendue, e nella seconda singolarmente, Gioachimo predice al re la rovina che a lui e a’ figliuoli di lui soprastava; predizione che dal fatto fu comprovata l’anno 1194 in cui Tancredi, dopo aver perduto per morte il primogenito suo Ruggero, morì egli pure, e non molto dopo Sibilla moglie di Tancredi coll’altro suo figlio Guglielmo costretti