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238 LIBRO Mellicese (De Script, eccl. c. 91). tanto più del Tritemio vicino ad Ermanno. A me pare perciò, che l’autorità del Tritemio non basti a persuadercelo , e che anzi il silenzio de’ più antichi scrittori, e la poca esattezza con cui egli ha parlato di Ermanno, come mostra il P. Mabillon (Ann. bened. t. 4, l. 53, n. 90) , ci persuada piuttosto che questo per altro dottissimo monaco non facesse intorno alle opere di Aristotele lavoro alcuno. Ben possiamo noi affermare con qualche maggior fondamento che un Italiano prima di tutti si accinse dopo i traduttori più antichi a recarne dal greco in latino alcune opere. Fu questi Jacopo cherico veneziano, quel medesimo, per quanto io penso, che trovossi in Costantinopoli insieme con Mosè da Bergamo e con Anselmo vescovo di Avelbergen, colà mandato da Lottario II imperadore, di che abbiamo altrove parlato (t. 3.). Or questi per testimonianza di Roberto del Monte, scrittore non molto posterior di tempo a Jacopo, verso l’anno 1128 recò dal! greco in latino ed illustrò con comenti alcune delle opere d’Aristotele. Jacobus clericus de Venetia transtulit de graeco in latinum quosdam libros Aristotelis, et commentatus est, scilicet Topica, Analyticos et priores et posteriores, et Elenchos, quamvis antiqua translatio (cioè quella probabilmente di Boezio) super eosdem libros haberetur (in App. ad Sigebcrt. ad ari. 1128). Questo traduttore e comentatore, sconosciuto al Fabricio, fu dunque il primo che dopo gli antichi cominciasse a recare in latino e ad interpretare Aristotele. E vuolsi avvertire che dove