Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/331

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3 IO LIBRO altri, col tenerne pubblica scuola, e col dare alla luce opere in tale argomento pregevoli e vantaggiose. Dell’una e dell’altra cosa si videro lieti principii in Italia nel tempo di cui parliamo, nel quale la medicina fu condotta a quella qualunque siasi perfezione cui le calamità de’ tempi e la mancanza de’ necessarii mezzi potea permettere. Dobbiam qui ragionare di scrittori e di opere su cui niuno ora si degna di volgere un guardo, e che si giacciono per lo più abbandonate nelle polverose biblioteche. Nè col lodarne gli autori io intendo di persuaderne ad alcuno la molesta e forse inutil lettura. Qualunque però sia il valore di cotai libri, noi dobbiam rimirarli come le prime sorgenti di quegli ampii e copiosi fiumi che si son poi venuti formando, e non poco dobbiamo esser tenuti a coloro che furono i primi a sboscare un terreno nel quale noi passeggiamo al presente sicuri e lieti. II. Gli antichi imperadori romani aveano con leggi utilissime provveduto, come si è da noi mostrato a suo luogo, perchè la medicina non fosse esercitata se non da chi avesse dati in essa bastevoli saggi del suo valore. La barbarie de’ tempi che sopravvennero dopo, avea fatti dimenticare questi utilissimi provvedimenti; ed è verisimile che si tornasse all’antico abuso di cui doleasi Plinio; cioè che a chiunque affermasse di esser medico, si credesse senz’altro. Federigo II, il quale fu avvolto in guerre e turbolenze sì grandi che non parea possibile che potesse pensare agli studi, e che nondimeno pensò agli studi in modo come se non avesse