Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/46

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piiimo a5 si crede da alcuni ch’ei fosse il più antico scrittore. Così non avesse egli a questi giovevoli studi congiunto ancora quello della’ astrologia giudicaria, di cui fu cieco seguace e credulo ammiratore. Ma questo fu comun difetto de' più grandi uomini e de’ più potenti signori di questa ^età. IV. Un principe che in mezzo alle cure difficili del governo, e tra le fiere procelle in cui fu di continuo avvolto, pur seppe sì felicemente coltivare le scienze, non è maraviglia che ne fosse insieme splendido protettore. Io non debbo a questo luogo cercare ciò che debb’ essere l argomento di altri capi, e perciò non rammenterò io qui nè le pubbliche scuole da lui fondate, nè i libri di Aristotile e di altri antichi filosofi da lui fatti recare in latino, nè altri utilissimi provvedimenti con cui egli adoperossi a promuovere i buoni studi. Riferirò qui solo il sentimento di Dante, il quale cercando per qual ragione a’ suoi tempi ciò che scrivevasi in lingua italiana, si dicesse scritto in lingua siciliana, afferma ciò aver avuto origine da’ tempi di Federigo II e di Manfredi, amendue re di Sicilia, i quali, essendo principi liberali al sommo e cortesi, allettavano a venir presso loro tutti i più colti ingegni di quell’età, per tal maniera che qualunque cosa essi dessero alla luce, pubblica vasi primieramente nella lor corte; e perchè essa era in Sicilia, siciliano diceasi tutto ciò che ivi scriveasi in italiano; la qual maniera di favellare, conchiude Dante (De vulgari eloq. c. 12), usiam noi pure, nè i nostri posteri potran cambiarla giammai. Nel che però IV. Protezione da lui accordata alle scienze.