Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/530

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TERZO 5oy è stato, benché con qualche dubbio, creduto spagnuolo (Bibl. hisp. vet. t. 2, p. 222), solo perchè l’opera che ora rammenteremo, è stata tradotta in lingua spagnuola. Egli recò dalla lingua ebraica nella latina un’opera pregiatissima tra gli antichi Indiani, e traslatata in quasi tutte le lingue orientali, e poscia ancora nelle moderne, di cui parla lungamente il Fabricio (Bibl■ gr. t. 6, p. 460, ec.). Ella in lingua ebraica è intitolata Culila et Damna, e contiene racconti e favolette leggiadre ad istruzione degli uomini e singolarmente de’ cortigiani. Giovanni, avendone veduta una versione ebraica, la tradusse in latino, e la dedicò al cardinale Matteo Rossi sollevato a quella dignità dal pontefice Urbano IV l’anno 1262. Essa è poi uscita alla luce in carattere gotico e senza data d’anno e di luogo (Fabr. ib., et Bibl. med. et inf. Latìn, t. 1, p. 332). Egli è vero però, che non è a stupire che Giovanni da Capova fosse in quella lingua versato, poichè egli era nato ebreo , ed avea poscia abbracciata la religion cristiana, come raccogliessi dal prologo eli’ egli premise alla sua traduzione, parte del quale è stato di nuovo pubblicata dal Wolfio (Bibl. hebr. t. 3, p. 350) e dal Marchand (Dict t. 1, p. 312). Ma ciò non ostante egli è meritevol di lode, perchè a vantaggio degli altri rivolse la perizia ch’egli avea di quella lingua. Delle traduzioni che di quest’opera abbiamo in lingua italiana , parlasi nella Biblioteca de’ Volgarizzatori (t.3,p. 386; t. 5, p. 662).